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Sono passati cinque anni e mezzo dall’omicidio della pittrice 64enne Renata Rapposelli residente ad Ancona commesso dall’ex marito Giuseppe Santoleri e dal figlio Simone nella loro casa a Giulianova. Ieri, la Cassazione ha reso definitive le loro condanne che la corte d’assise d’Appello aveva ridotto a 18 anni per Giuseppe e confermato, invece, a 27 anni per Simone.
La decisione dei giudici della Suprema Corte, che hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’ex marito della pittrice e rigettato quello del figlio, è arrivata dopo un giorno dalla trattazione scritta. A dover essere rifuse delle spese per il giudizio anche le parti civili, l’associazione Penelope ma soprattutto la figlia di Renata, Maria Chiara Santoleri (assistita dall’avvocata Annamaria Augello) che nel 2007 era stata abbandonata dal padre. A luglio del 2017, qualche mese prima dell’omicidio, è stato proprio Simone in una telefonata alla sorella Maria Chiara, l’ultima tra i due - poi loro rapporti erano cessati così come lei stessa ha raccontato durante il processo - a dirle una frase quasi profetica: «Se mi fa perdere la casa, io l’ammazzo».
Una minaccia rivolta alla madre Renata perché, così come ricostruito dai giudici di secondo grado, movente del delitto è stata l’ossessione per il denaro di Simone insieme al rancore che nutriva per la madre e alla sua indole impulsiva e violenta. Un omicidio commesso dal figlio della pittrice, che ha soffocato la mamma il giorno in cui lei è andata a trovarli entrambi a Giulianova in treno, mentre Giuseppe era lì presente e lo ha poi aiutato a spostare il cadavere e a disfarsene gettandolo dalla sommità del fiume Chienti, nelle campagne di Tolentino, lungo la scarpata con la speranza che se la mangiassero i cinghiali.
Renata, che da anni risiedeva ad Ancona, in un piccolo appartamento del centro storico, era scomparsa il 9 ottobre del 2017 ed è stata ritrovata cadavere l’11 novembre.